martedì 12 marzo 2019

LA PERIODIZZAZIONE TATTICA

Mai si era pensato di accostare l’assimilazione dell’organizzazione tattica di una squadra di calcio a quella di uno stress fisico. Lo ha fatto per la prima volta Vitor Frade, professore all’Università di Oporto e collaboratore del Porto, club nel quale ha lavorato anche José Mourinho, prima come secondo di Bobby Robson e poi come capo allenatore. Mourinho è stato uno dei primi sponsor di questa metodologia di lavoro. Secondo il modello sviluppato dai portoghesi, ogni azione di gioco coinvolge quattro dimensioni differenti tra loro: quella tattica (quale scelta fare), quella tecnica (quale giocata ne consegue), la dimensione fisica (quale risposta dal corpo), la dimensione psicologica (quale stato emotivo). Un buon calciatore è colui che opera la scelta tattica giusta in ogni situazione di stress tecnico, fisico e psicologico.

Ogni singolo esercizio in allenamento che riproduce un’azione di gioco deve contenere tutte e quattro le dimensioni viste in precedenza. Solo così, e attraverso numerose ripetizioni, il cervello del calciatore può registrare la scelta corretta e tramutarla in abitudine, in un comportamento da seguire in una situazione di gioco reale.

L’aspetto tattico è però preponderante. Le decisioni che un calciatore in campo è forzato a prendere dipendono in larga parte dalla fase di gioco in cui si trova. Secondo una nomenclatura ormai acquisita, le fasi sono sostanzialmente quattro: due statiche, attacco e difesa; due di transizione, positiva se si passa dalla difesa all’attacco, negativa viceversa. Come comportarsi in ciascuna di queste situazioni, ovvero quale decisione di tattica individuale è più opportuno prendere, dipende da un piano tattico più grande, il cosiddetto modello di gioco.

Il modello di gioco sintetizza l’idea di calcio che l’allenatore intende mettere in pratica, ma non solo. È l’insieme della formazione, intesa come struttura organizzativa da tenere in campo, delle peculiarità dei calciatori a disposizione in rosa, della cultura del club, nonché di quella della nazione in cui si compete. Lo stesso Mourinho sul modello di gioco ha detto: “È la cosa più importante per me, è un insieme di principi condivisi che forniscono organizzazione al lavoro quotidiano. Fin dal primo giorno, il modello di gioco è la cosa che dev’essere chiara a tutti”.

LA PERIODIZZAZIONE

Cos’è la periodizzazione
Secondo il modello originario, un atleta risponde a uno stress fisico secondo tre fasi successive: nella fase cosiddetta di allarme (1) registra nel corpo e nella mente lo shock portato da uno stimolo esterno (un esercizio nuovo che provoca nel corpo dolore e rigidità); nella fase di resistenza (2) il sistema si predispone per adattarsi allo stimolo; nella fase di esaurimento (3) l’atleta, per stanchezza o assuefazione nei confronti dello stimolo, non fornisce più risposte adeguate, di conseguenza la sua prestazione diminuisce. Lo scopo della periodizzazione degli allenamenti è mantenere l’atleta permanentemente nella fase di resistenza, dove l’adattamento scatena un rafforzamento progressivo, sia livello fisico che mentale, e un miglioramento della prestazione. Va evitato, quindi, di far entrare l’atleta nella fase di esaurimento, alternando opportuni periodi di recupero o offrendo uno stimolo differente, ad esempio cambiando l’esercizio che deve eseguire.

Questo tipo di filosofia ha attecchito anche nel calcio, per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro atletico. Alternando le esercitazioni e i carichi sapientemente, anche in relazione al calendario delle partite, è possibile tenere un calciatore lontano dalla fase di esaurimento, preservandolo dagli infortuni.

GIOCO DI POSIZIONE

Il termine gioco di posizione, però, oggi si riferisce a una filosofia o stile di gioco basato su diversi princìpi e allenato seguendo alcune metodologie. Il nome è dovuto all’importanza assegnata all’occupazione delle posizioni corrette all’interno di una struttura organizzativa predefinita: in particolare, «le posizioni dipendono da dove si trova il pallone», e «non sono le posizioni che vanno al pallone, è il pallone che va alle posizioni».

Per farla semplice: la posizione di ogni singolo giocatore è fondamentale per lo sviluppo del gioco, ma è solo uno strumento per raggiungere un certo fine. Per questo in Spagna si discute molto anche su una possibile ridenominazione dello stile (ormai impossibile, vista la fama anche internazionale): Juanma Lillo (allenatore spagnolo, è stato collaboratore di Sampaoli nel Cile e nel Siviglia) propone “juego de ubicación” (come descritto nel libro Metamorfosi di Martí Perarnau) perché comprensivo non solo del luogo in cui si trova il giocatore, ma anche dell’orientamento del corpo, la postura, la direzione. Insomma, un termine più soddisfacente di quello di Sharpe.

Una cosa è certa, studiarne il nome ci aiuta a capire il tipo di gioco di cui parliamo: come sottolinea Guardiola, il possesso palla in sé non è un valore intrinseco di questa filosofia di gioco, che non a caso si definisce di posición e non di posesión.

Superiorità
Definizione brevissima per chi non ha tempo o voglia di approfondire: il gioco di posizione è un modo di vedere il calcio, la cui proposizione principale è la ricerca della superiorità (posizionale, soprattutto, ma anche numerica e qualitativa), il cui strumento è il controllo del pallone, e che si basa su una serie di movimenti definiti tramite allenamenti specifici.

PROATTIVO E REATTIVO

Cosa si intende per proattivo e reattivo
I termini proattivo e reattivo, tuttavia, hanno significati più sfumati e per questo più complessi. “Proattività” è un concetto che nasce originariamente in ambito psicologico e descrive un approccio alla complessità dell’esistenza che non si lascia condizionare dal suo intorno e che pone l’accento sulle responsabilità individuali. In estrema sintesi: l’habitat di una persona proattiva è costruito dalle sue scelte e non definito dalle circostanze esterne.

Il termine è poi transitato nel campo degli studi sulle organizzazioni, in particolare quelle lavorative, indicando un atteggiamento che anticipa le esigenze future e promuove il cambiamento, in contrapposizione a un atteggiamento reattivo che risponde solo dopo l’accadimento di un evento. Anche in questo caso, l’accento è posto sulla costruzione attiva di un ambiente, opposto a una risposta reattiva ad accadimenti esterni.

Per estensione e rimanendo vicini al significato dei termini, nel gergo del calcio un approccio proattivo è quello che tende a determinare l’ambiente tattico della partita preoccupandosi poco delle intenzioni degli avversari, mentre quello reattivo prova a giocare rispondendo alle tendenze tattiche della squadra che si fronteggia. Un calcio proattivo aspira all’autosufficienza, mentre un calcio reattivo dipende dalle mosse degli avversari.

LA DIAGONALITA'

Il principio di diagonalità è praticamente sconosciuto nel calcio italiano. Per diagonalità si intende, per farla breve, muovere la palla in diagonale, che è un aspetto distinto dal farlo in verticale o in orizzontale. In Germania se ne parla molto, in particolare Tuchel ha sottolineato più volte il concetto, ma nel contesto italiano è quasi praticamente assente dal discorso calcistico. Ho provato ad approfondire il concetto attraverso i dribbling e i passaggi diagonali, evidenziando i vantaggi per la squadra che attacca.

IL TREQUARTISTA

Sempre più spesso il trequartista utilizza quella specifica posizione solamente come punto di partenza per spostarsi e ricevere il pallone in altre zone di campo.

In un calcio che si preoccupa sempre di più di occupare in fase di non possesso il centro del campo, la presenza statica di un calciatore nella zona di tre quarti campo può, con molta facilità, risultare controproducente per l’attacco, congestionando ulteriormente gli spazi. Per questo il trequartista tende a disegnare tracce per ricevere palla in altre zone, creando al contempo spazi al centro del campo.

Un tipico esempio di utilizzo moderno del trequartista è quello fornito dal 4-3-1-2 visto a Empoli con Sarri e Giampaolo, che poi lo ha riproposto alla Sampdoria. Oltre a creare superiorità numerica in zona centrale assieme agli altri componenti del rombo, il trequartista ha il compito di attaccare gli spazi centrali liberati dalle punte, che a loro volta si aprono per garantire ampiezza alla manovra.

LE TRANSIZIONI

Le fasi di gioco di una partita sono scandite dal possesso o meno del pallone: la fase offensiva inquadra il comportamento di una squadra quando attacca in possesso del pallone; quella difensiva, al contrario, inquadra il comportamento di una squadra quando difende, quindi senza il pallone. E questo è abbastanza ovvio. L’accelerazione dei ritmi di gioco negli ultimi venti anni, però, ha reso sempre più fluido il passaggio da una fase all’altra, tanto da rendere necessaria la definizione teorica di quei momenti in cui una fase scivola nell’altra: le cosiddette transizioni.

Le transizioni si riferiscono ai momenti immediatamente successivi alla riconquista o alla perdita del pallone: in caso di riconquista si parla di transizione positiva (dalla fase difensiva a quella offensiva); in caso di perdita del pallone, invece, si parla di transizione negativa (dalla fase offensiva a quella difensiva).

Così, contrariamente alla distinzione in due fasi di cui si parla comunemente, in ogni partita una squadra gioca quattro fasi diverse: offensiva, difensiva e le due transizioni. Avere le idee chiare su come attaccare e come difendere non basta: per essere davvero organizzata, una formazione deve reagire immediatamente ai cambi di possesso. Ovvero, deve prepararsi a difendere mentre attacca e ad attaccare mentre difende.

SWEEPER-KEEPER

Il diffondersi della marcatura a zona e della trappola del fuorigioco ha portato all’estinzione del libero e sempre più spesso tocca al portiere prendersi le responsabilità che una volta erano del numero 6. Il contributo del portiere alla fase difensiva e offensiva è quindi ormai paragonabile a quello di un qualsiasi giocatore di movimento: l’estremo difensore diventa il primo tassello della manovra d’attacco. Il portiere ha il compito di generare superiorità numerica in fase di uscita, ma allo stesso tempo amplificare anche il suo raggio d’azione in fase di non possesso, ponendosi come ultimo baluardo non solo in area di rigore, ma in tutta la porzione di campo che la difesa lascia scoperta quando cerca di mettere in fuorigioco gli avversari. È stato allora naturale, nel tentativo di racchiudere in una definizione il nuovo ruolo, denominarlo “sweeper-keeper”, ovvero portiere-libero.

MARCATURA A ZONA E UOMO

Per marcatura in senso stretto si intende la presa di posizione rispetto a un avversario (che può essere sia in fase di possesso palla, che di non possesso) e il relativo controllo al fine di ostacolarne l’azione . È un concetto che riguarda la tattica individuale, cioè quell’insieme di comportamenti che il singolo calciatore adotta per rendere efficace il suo gioco e la sua prestazione tecnica.

Quando invece parliamo di “marcatura a uomo” o “a zona”, facciamo riferimento alla sfera della tattica collettiva, cioè l’insieme coordinato dei movimenti e dei comportamenti di un gruppo di calciatori.

E forse sarebbe più opportuno distinguere tra sistemi difensivi basati prioritariamente sul controllo dello spazio – zona – e sistemi difensivi basati sul controllo degli avversari – uomo – eliminando alla base, cioè, una possibile confusione con la questione tecnica delle marcature individuali.

GLI HALF SPACES

Spazi di mezzo, intermedi.
Quando pensiamo alle posizioni in un campo di calcio, di solito pensiamo in successione a delle linee orizzontali: linea difensiva, linea di centrocampo e linea offensiva. È così che si esprimono i moduli (4-3-3) ed è quello a cui siamo abituati. Il campo, però, si può dividere anche con linee verticali, così da ottenere cinque livelli: le due fasce, una zona centrale, e poi due fasce intermedie

LA SALIDA LAVOLPIANA

Molto schematicamente, la Salida Lavolpiana prevede che in fase di costruzione bassa un centrocampista si abbassi tra i due centrali difensivi. Lo spazio necessario ad accogliere il centrocampista è creato dall’allargamento dei due difensori centrali che, a loro volta, sfruttano quello creato dai terzini che alzano la propria posizione fino (almeno) alla linea dei centrocampisti. Si crea così una linea arretrata di tre difensori, che può garantire superiorità numerica e talvolta posizionale, agevolando appunto l’uscita del pallone manovrata partendo dal basso.

Una variante della Salida Lavopolpiana vede l’abbassamento del centrocampista ai fianchi di uno dei centrali, che quindi va ad occupare il vertice del triangolo che si forma in zona arretrata.

IL GEGENPRESSING

Il gegenpressing, tradotto in inglese come “counterpressing” ed in italiano anche come “riaggressione”, è il pressing immediatamente successivo alla perdita del possesso. Ed è bene sottolineare da subito in cosa si differenzia dal pressing puro, con cui spesso viene frainteso: non si tratta di pressare un attacco organizzato dell’avversario, ma di pressare un attacco in transizione, un contropiede (gegen in tedesco significa “contro”).

Il gegenpressing ha un duplice scopo: da una parte, si vuole prevenire il contropiede avversario senza scivolare all’indietro per poi riorganizzarsi, ma cercando di interromperlo all’origine; dall’altra, si vuole recuperare il pallone subito dopo averlo perso, in modo da riproporre una nuova azione d’attacco.