martedì 12 marzo 2019

IL TREQUARTISTA

Sempre più spesso il trequartista utilizza quella specifica posizione solamente come punto di partenza per spostarsi e ricevere il pallone in altre zone di campo.

In un calcio che si preoccupa sempre di più di occupare in fase di non possesso il centro del campo, la presenza statica di un calciatore nella zona di tre quarti campo può, con molta facilità, risultare controproducente per l’attacco, congestionando ulteriormente gli spazi. Per questo il trequartista tende a disegnare tracce per ricevere palla in altre zone, creando al contempo spazi al centro del campo.

Un tipico esempio di utilizzo moderno del trequartista è quello fornito dal 4-3-1-2 visto a Empoli con Sarri e Giampaolo, che poi lo ha riproposto alla Sampdoria. Oltre a creare superiorità numerica in zona centrale assieme agli altri componenti del rombo, il trequartista ha il compito di attaccare gli spazi centrali liberati dalle punte, che a loro volta si aprono per garantire ampiezza alla manovra.

LE TRANSIZIONI

Le fasi di gioco di una partita sono scandite dal possesso o meno del pallone: la fase offensiva inquadra il comportamento di una squadra quando attacca in possesso del pallone; quella difensiva, al contrario, inquadra il comportamento di una squadra quando difende, quindi senza il pallone. E questo è abbastanza ovvio. L’accelerazione dei ritmi di gioco negli ultimi venti anni, però, ha reso sempre più fluido il passaggio da una fase all’altra, tanto da rendere necessaria la definizione teorica di quei momenti in cui una fase scivola nell’altra: le cosiddette transizioni.

Le transizioni si riferiscono ai momenti immediatamente successivi alla riconquista o alla perdita del pallone: in caso di riconquista si parla di transizione positiva (dalla fase difensiva a quella offensiva); in caso di perdita del pallone, invece, si parla di transizione negativa (dalla fase offensiva a quella difensiva).

Così, contrariamente alla distinzione in due fasi di cui si parla comunemente, in ogni partita una squadra gioca quattro fasi diverse: offensiva, difensiva e le due transizioni. Avere le idee chiare su come attaccare e come difendere non basta: per essere davvero organizzata, una formazione deve reagire immediatamente ai cambi di possesso. Ovvero, deve prepararsi a difendere mentre attacca e ad attaccare mentre difende.

SWEEPER-KEEPER

Il diffondersi della marcatura a zona e della trappola del fuorigioco ha portato all’estinzione del libero e sempre più spesso tocca al portiere prendersi le responsabilità che una volta erano del numero 6. Il contributo del portiere alla fase difensiva e offensiva è quindi ormai paragonabile a quello di un qualsiasi giocatore di movimento: l’estremo difensore diventa il primo tassello della manovra d’attacco. Il portiere ha il compito di generare superiorità numerica in fase di uscita, ma allo stesso tempo amplificare anche il suo raggio d’azione in fase di non possesso, ponendosi come ultimo baluardo non solo in area di rigore, ma in tutta la porzione di campo che la difesa lascia scoperta quando cerca di mettere in fuorigioco gli avversari. È stato allora naturale, nel tentativo di racchiudere in una definizione il nuovo ruolo, denominarlo “sweeper-keeper”, ovvero portiere-libero.

MARCATURA A ZONA E UOMO

Per marcatura in senso stretto si intende la presa di posizione rispetto a un avversario (che può essere sia in fase di possesso palla, che di non possesso) e il relativo controllo al fine di ostacolarne l’azione . È un concetto che riguarda la tattica individuale, cioè quell’insieme di comportamenti che il singolo calciatore adotta per rendere efficace il suo gioco e la sua prestazione tecnica.

Quando invece parliamo di “marcatura a uomo” o “a zona”, facciamo riferimento alla sfera della tattica collettiva, cioè l’insieme coordinato dei movimenti e dei comportamenti di un gruppo di calciatori.

E forse sarebbe più opportuno distinguere tra sistemi difensivi basati prioritariamente sul controllo dello spazio – zona – e sistemi difensivi basati sul controllo degli avversari – uomo – eliminando alla base, cioè, una possibile confusione con la questione tecnica delle marcature individuali.

GLI HALF SPACES

Spazi di mezzo, intermedi.
Quando pensiamo alle posizioni in un campo di calcio, di solito pensiamo in successione a delle linee orizzontali: linea difensiva, linea di centrocampo e linea offensiva. È così che si esprimono i moduli (4-3-3) ed è quello a cui siamo abituati. Il campo, però, si può dividere anche con linee verticali, così da ottenere cinque livelli: le due fasce, una zona centrale, e poi due fasce intermedie

LA SALIDA LAVOLPIANA

Molto schematicamente, la Salida Lavolpiana prevede che in fase di costruzione bassa un centrocampista si abbassi tra i due centrali difensivi. Lo spazio necessario ad accogliere il centrocampista è creato dall’allargamento dei due difensori centrali che, a loro volta, sfruttano quello creato dai terzini che alzano la propria posizione fino (almeno) alla linea dei centrocampisti. Si crea così una linea arretrata di tre difensori, che può garantire superiorità numerica e talvolta posizionale, agevolando appunto l’uscita del pallone manovrata partendo dal basso.

Una variante della Salida Lavopolpiana vede l’abbassamento del centrocampista ai fianchi di uno dei centrali, che quindi va ad occupare il vertice del triangolo che si forma in zona arretrata.

IL GEGENPRESSING

Il gegenpressing, tradotto in inglese come “counterpressing” ed in italiano anche come “riaggressione”, è il pressing immediatamente successivo alla perdita del possesso. Ed è bene sottolineare da subito in cosa si differenzia dal pressing puro, con cui spesso viene frainteso: non si tratta di pressare un attacco organizzato dell’avversario, ma di pressare un attacco in transizione, un contropiede (gegen in tedesco significa “contro”).

Il gegenpressing ha un duplice scopo: da una parte, si vuole prevenire il contropiede avversario senza scivolare all’indietro per poi riorganizzarsi, ma cercando di interromperlo all’origine; dall’altra, si vuole recuperare il pallone subito dopo averlo perso, in modo da riproporre una nuova azione d’attacco.